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La Storia

Dopo una gestione difficile, per risolvere la situazione debitoria a cui si dedicarono il presidente del CAI Feliciano Vinanti e il vice avv. Rodolfo Protti, anche il rifugio Budden, trovandosi sulla via della ritirata, dopo Caporetto, venne travolto dagli eventi bellici della Prima Guerra Mondiale. Nell’ottobre-novembre 1917 gli austro-ungarici sfondarono appunto a Caporetto, dilagando sulla pianura veneta, si arrestarono sul Piave per circa un anno.
Probabilmente il rifugio venne incendiato perché non offrisse riparo ad altri. Ma da chi? Dagli italiani o dai tedeschi? Erano momenti di grande confusione e né cronaca né testimonianze riportano notizie in merito. Resta il fatto che, finita la guerra, il rifugio era distrutto.
L’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, presieduta negli anni trenta-quaranta dall’avv. Comm. Valentino De Castello, ebbe l’idea di ricostruire sulla sommità del colle un rifugio che sostituisse il vecchio Budden. A tal fine acquistò dal Demanio dello Stato con atto del 21 ottobre 1936 il terreno ma ritenne troppo onerosa la costruzione di un rifugio sul Visentin pur ravvisandone la piena validità e utilità.

Il 24 settembre 1937 il col. Antonio Norcen subentrato al col. Luigi Mazzini al comando del 5° Reggimento Artiglieria Alpina (cfr: Divisione Alpina Pusteria - Mario Dell’Eva 18-19 settembre 1999), appena rientrato dall’Africa Orientale, conclusa con la vittoria la guerra d’Abissinia e contando sulla manodopera qualificata dei suoi montagnini e su un possibile sostegno finanziario cittadino, fece propria l’idea dell’erezione di un monumento-sacrario in memoria di quei caduti.
Già nel settembre del 1938 si accampò sul Col Visentin un distaccamento della 24° batteria del 5° per le prime operazioni di sterro. Antonio Norcen venne avvicendato nel comando del 5° Reggimento il 10 settembre 1939 dal col. Giuseppe Molinari che si accollò anche il gravoso compito di portare a termine i lavori del Rifugio al Col Visentin. Su progetto dell’arch. Alfarè che lo volle come un monumento più che un rifugio di montagna, con una torretta adattata a cappella-sacrario dei Caduti del Quinto Montagna, la costruzione proseguì fino all’inaugurazione ufficiale del 15 agosto 1946.


Pochi ricordano che sulla cima del Col Visentin, nelle Prealpi, a confine fra le province di Belluno e Treviso, a quota 1765 m.s.m., il 23 settembre 1900 venne inaugurato il rifugio Budden, strenuamente voluto dalla Sezione di Belluno del Club Alpino Italiano.Il primo rifugio aveva tutto l’aspetto di una casèra anche se all’inizio veniva denominato “chalet”, poi capanna-rifugio e infine solo rifugio che era l’idea di fungere appunto da supporto agli escursionisti bellunesi e trevigiani.Questo primo rifugio fu dedicato dalla Sezione del CAI di Belluno a RICCARDO ENRICO BUDDEN (nato a Stoke Newington – Londra il 19 maggio 1816 e morto a Firenze nel 1895). Appassionato della montagna dedicò gran parte delle sue doti in progetti di rimboschimento a salvaguardia dell’ambiente montano: nel 1869 fondò a Firenze la Sezione del CAI che presiedette fino alla morte; nel 1869 istituì un premio di lire 500 per quel comune che per primo avesse intrapreso un’opera di rimboschimento; fondò una “Società degli amici degli alberi” proponendo un giorno festivo dedicato alle piante; sostenne la necessità di disciplinare il turismo in montagna, auspicando il sorgere di “alberghi alpini”. Sincero amico della provincia di Belluno, fu il padrino per la nascita nel 1868 della Sezione del CAI di Agordo. L’idea dello chalet, capanna, rifugio, naque nella seduta del 20 maggio 1898, formalizzata con le deleghe del presidente Feliciano Vinanti il 18 luglio 1899. La costruzione sorse su un terreno donato dalla famiglia de’ Bertoldi e in accordo con il comune di Belluno. In periodo di vacche magre, usufruì di diversi contributi, in più annate, della sede centrale e vi fu anche l’emissione di azioni ma soprattutto vi furono elargizioni da parte di attività artigianali, commerciali o industriali. Quindi, il 23 settembre 1900, ebbe luogo l’inaugurazione solenne.


La torre – sacello votivo che regge il faro, donato dalla Marina militare che irradia la luce del tricolore, è visibile dal mare Adriatico e contiene l’elenco dei fratelli caduti del 5° (sull’ardente duna libica, poi quelli sull’Ortigara, sul Carso, sul Sabotino, sul San Michele alla Bainsizza; quelli sulle aride ambe etiopiche ed infine quelli rimasti sui campi d’Albania e nelle forre montenegrine e nella desolata immensità della steppa russa).

Andò avanti così per un decennio ma un bel dì successe l’imprevisto: l’incendio (25 maggio 1964) verosimilmente per il surriscaldamento della canna fumaria. Il primo e secondo piano andarono praticamente distrutti. Il piano terra e il seminterrato, dove si cercò di portare quanto più possibile degli arredi dai piani superiori, risultarono indenni, ma il danno complessivo fu enorme. Comunque l’opera dei pompieri e degli artiglieri che vi accorsero in forze valse a circoscrivere le fiamme e a impedire che si propagassero anche al vicino edificio del ripetitore televisivo.

Nonostante il parere negativo dell’allora capo dell’Ufficio staccato del Genio Militare di Belluno per i lavori di ripristino, l’opinione cittadina e la Sezione Alpini di Belluno premevano per la ricostruzione, trovando valido appoggio nel gen. Pietro Torrazzo, già ufficiale del 5° montagna oltre al gen. Antonio Norcen che mise a disposizione personalmente subito 50 mila lire e altri vecchi ufficiali. Torrazzo interpose la sua autorevole pressione ottenendo il benestare per uno stanziamento di fondi per la ricostruzione del Rifugio 5° Regg. Art. Alpina, con la direzione dei lavori da parte del Genio Militare e la sovrintendenza del Comando del 6° Regg. Art. da Montagna di Belluno.
Il lavori però andarono per le lunghe e solo il 31 agosto 1968, alle ore 16 si tenne la cerimonia della Reinaugurazione del Rifugio 5° Reggimento Artiglieria Alpina.
Il 6° Regg. Art. Montagna, che aveva in custodia il manufatto, anche con una convenzione del 12 marzo 1970, affidò la gestione alla Sezione Alpini di Belluno che si avvalse del giovane e bravo Augusto Vianello di Castellavazzo. Nel giugno del 1971 la gestione fu affidata a Nevio Sarcognato di Santa Giustina.
La convenzione per la gestione venne rinnovata anche il 15 marzo 1974, con il comandante del Sesto Montagna, col. Luciano Ghio e il 1 maggio 1974 subentrò nella gestione Ivano Facchin di Puos d’Alpago. L’11 gennaio 1980 assunse la gestione Oreste Casagrande di Belluno che la manterrà fino al 1987.
Gli anni Settanta videro ancora la corsa per “conquistare” un posto per le antenne televisive, sia militari che civili. Una molto alta della RAI venne sistemata a pochi metri dal rifugio sul lato nord, purtroppo è ancora là. Ma altre ne sono state issate sulle strutture e sarebbe ora il caso di operare una seria bonifica.
Seguì un periodo di incertezze per la gestione conseguenti alla decisione del “Lanzo” di disdire tutte le responsabilità di rappresentare la proprietà e nel 1988 il COMILITER di Padova decise la ristrutturazione d’uso dei locali (durante i lavori molta attrezzatura subì seri danni).
Nel 1992, conclusi i lavori, la sezione Alpini acquistò una cucina ex novo e trasportata con un mezzo della “Cadore” assieme all’altra attrezzatura recuperata e rimasta in deposito nella caserma Fantuzzi e nel Distretto Militare. Finalmente nel 1993, l’Ufficio Tecnico Erariale propose un canone d’affitto e il primo maggio 1994 un novo gestore Del Vesco Giovanni, dopo cinque anni, potè riaprire il rifugio. Dopo un periodo di prova, nel 1995 venne stipulata una convenzione, tutt’ora in vigore ed è ormai storia di questi giorni.
Nonostante le difficoltà per mantenere aperto il Rifugio del Col Visentin - guardiamo con fiducia al futuro senza dimenticare la preziosa eredità lasciataci dai nostri predecessori, un punto di riferimento per la gente bellunese e per gli alpini, un sacrario alla memoria dei Caduti del 5° Reggimento Artiglieria Alpina, memori di quanto disse il gen. Antonio Norcen all’inaugurazione del Rifugio nell’agosto 1946:
“Cannonieri del 5°, montagnini di tutti i Reggimenti, Alpini fratelli nostri nel sangue e nel sacrificio, abbiamo ancora un sacro patrimonio che nessuno ci potrà mai togliere, né depauperare: i nostri morti per il dovere senza limiti e riserve. Conserviamo tutto per noi questo altissimo tesoro spirituale e tramandiamolo come preziosa e mobilissima eredità alle nuove generazioni.E’ per l’amore e per il dolore che sopravvive il ricordo!”.
Per questo miscuglio meraviglioso di amore e di riconoscenza che anima l’Associazione Alpini e a quanti preposti al Rifugio per la sopravvivenza di un patrimonio tutto alpino e tutto bellunese, ricordiamo anche i nomi scolpiti sulla pietra nera all’interno del Sacello.


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